Scritto su La voce alessandrina e ripreso da Settimana settimanale di attualità pastorale delle edizioni Dehoniane il seguente articolo è di don Maurilio Guasco, buon amico alessandrino, prete e docente universitario, mai assente dalla vita ecclesiale né da quella civile.
fra Beppe
E’ QUESTA L’ IMMAGINE DI CHIESA CHE AMO DI PIÙ
Ogni anno, il Cum (Centro unitario missionario) organizza gli incontri dei missionari nei vari paesi del mondo, e periodicamente vi sono incontri che coinvolgono diversi paesi. Nell’ultima decade di gennaio, si è svolto a Lima l’incontro dei missionari (preti, suore e laici) presenti in Perù, Ecuador, Venezuela, Bolivia e Colombia, cioè la cosiddetta area bolivariana o paesi andini. Ne erano presenti 94.
Come mi è successo varie altre volte, ho partecipato anch’io. Si trattava di un corso di aggiornamento, che vedeva tra i relatori diversi studiosi locali e i presidenti di alcune conferenze episcopali. Vi era anche, tra i relatori, padre Gustavo Gutierrez, quelli che tutti considerano, in modo spesso ambiguo, il padre della teologia della liberazione.
Vi erano soprattutto i missionari, di età diverse e di provenienze diverse. Alcuni arrivavano dai 4.000 metri delle Ande, come don Salvatore, dove operano in villaggi spesso poveri e sperduti, altri dalla zona amazzo-
nica: p. Carlo, per esempio, dopo un viaggio di due giorni in barca, e non so quante ore di macchina; uno dei vescovi veniva da una delle zone in assoluto più povere del Perù, un’ora di viaggio su strade che chiamare così è solo un eufemismo, oltre Cuzco. Tutti mossi dallo stesso spirito, annunciare il vangelo di Cristo, aiutare le popolazioni nella loro crescita umana e spirituale, dare testimonianza di quel Gesù che, prima di parlare, incominciò a insegnare con l’esempio.
È una delle immagini di chiesa che attira di più, che uno sente più genuina e più autentica: e, se posso dirlo, è l’immagine che mi piace di più. Non si tratta di sentirsi a disagio in altri modelli: fra gli apostoli, vi era Giacomo che non credeva all’universalità del messaggio di Gesù, Pietro che un po’ ci credeva un po’ no, Paolo che doveva convincere tutti di tale universalità. È singolare che raccontiamo queste cose in tutta tranquillità, e poi ci adombriamo subito se qualcuno prova ad applicare gli stessi criteri al-
la chiesa attuale. Nella casa del Padre ci sono tante mansioni, si è sempre detto: non si vede perché non ci debbano essere anche oggi. Tante mansioni e tante idee.
Come non provare disagio, dopo aver vissuto con persone che hanno scelto la povertà, la semplicità, il rifiuto di ogni classificazione in base alle gerarchie e non all’osservanza del vangelo, la radicalità del messaggio evangelico, tornare in Italia e scoprire che da giorni si discuteva di scomuniche, di vescovi che riescono a negare anche la realtà storica, schierandosi con i più strani negazionisti, che pare abbiano come unico problema una messa in latino o un vestito liturgico che comporti pianete varie, cingoli di certi formati, vestiti variopinti e non so cos’altro.
Nulla contro: dicevo che, nella casa del Padre, e nella chiesa, ci sono tante varietà. E tutti sanno che nessuna società, neppure la chiesa, vive senza gerarchie, senza strutture, senza responsabili. Ma forse è proprio l’esistenza di miriadi di persone che vivono il messaggio evangelico, la radicalità di tale messaggio senza proclamarlo, senza mandare ogni giorno qualche messaggio al mondo, senza adombrarsi perché qualcuno pensa in altri modi, è l’esistenza di quelle persone che ci aiuta a dare senso anche
a tutto il resto. Ci aiutano a pensare che è più facile amare la chiesa, quando si comincia a conoscere quel tipo di chiesa.
Padre Gutierrez, spesso bastonato da varie parti, ci ha dato una lezione di grande umiltà e spiritualità. Diceva che lui scrive libri che vorrebbero solo essere lettere di amore rivolte a Dio e alla chiesa, i suoi amori più grandi. E questo gli permetteva di non lasciarsi troppo condizionare da quello che altri possono dire. Quando uno è davvero innamorato, scrive anche cose dettate più dal cuore che dalla testa. Dovremmo forse convincerci che, ogni volta che parliamo della chiesa, le stiamo scrivendo una lettera d’amore.
Una volta vi erano i libri che suggerivano come fare. Ma un innamorato scrive quel che pensa lui, non quello che trova nei libri. E ognuno esprime in modi diversi il proprio amore.
L’unica cosa che ci accomuna, è che siamo tutti poveri peccatori. Ognuno ama la chiesa nei modi in cui se la rappresenta. Gli amici che, con semplicità e naturalezza, operano nei territori più difficili delle missioni mi presentano il volto della chiesa che mi è più facile amare.
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